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10/08/2012

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Tubercolosi in Carcere: due su dieci i detenuti positivi allo screening

10 Agosto 2012 – Positivi al test della TBC due detenuti su dieci nelle carceri italiane. E’ uno dei dati, e neanche il piu’ eclatante, su cui si confronteranno medici specialisti ed addetti ai lavori, dal 26 al 28 settembre a Viterbo in occasione della ”Conferenza Europea sulle malattie infettive, le politiche di riduzione del danno e dei diritti umani in Carcere”, organizzata dalla SIMSPe (Societa’ Italiana di Medicina e Sanita’ Penitenziaria) e dalla SIMIT (Societa’ Italiana di Malattie Infettive e Tropicali).
  In particolare, il test cutaneo alla Tubercolina (che permette di individuare non gli individui ammalati ma coloro che nel corso della propria vita hanno avuto un contatto con il bacillo della Tubercolosi), effettuato su un campione di 1.069 detenuti che rappresentavano 47,4% della popolazione rinchiusa negli Istituti penitenziari di residenza, ha rivelato la positivita’ nel 21,8% dei casi, con una prevalenza dell’11,8% tra gli italiani e del 43,0% tra gli stranieri. Lo studio, denominato ”La Salute non conosce Confini”, e’ stato condotto da SIMSPe con la collaborazione dell’Associazione Pazienti NPS (Network Persone Sieropositive), della SIMIT e con il patrocinio dei Ministeri della Giustizia e della Salute, con il contributo economico non condizionato dell’azienda Farmaceutica Gilead.
  Spiega all’Asca Sergio Babudieri, Associato di Malattie Infettive all’Universita’ di Sassari e presidente della SIMSPe: ”Poiche’ il passaggio tra lo stato di portatore d’infezione a quello di malato attivo dipende dalla capacita’ del sistema immunitario del singolo di tenere bloccata, anche per tutta la vita, l’infezione e poiche’ lo stato di competenza immunologica e’ condizionato anche dal proprio equilibrio generale inclusi psiche e sistema nervoso centrale (basti pensare all’esempio banale del ‘Fuoco di S.Antonio’ riattivazione del virus della Varicella quando si e’ sotto stress psico-fisico), e’ intuibile come a fronte di una elevata percentuale di portatori, aumenti considerevolmente, soprattutto in carcere, la probabilita’ che qualcuno sviluppi, per patologia, per stress o in seguito all’assunzione di farmaci immunosoppressivi, un anche momentaneo deficit immunologico che apre potenzialmente la porta alla riattivazione del bacillo della Tubercolosi, con le conseguenze epidemiologiche che si possono immaginare in un ambiente chiuso come quello penitenziario”.
  Carceri ad alto rischio, dunque, se si pensa che secondo gli ultimi dati, il sovrannumero ha superato le 21mila unita’ e che solo nel mese di luglio i morti per suicidio sono stati dieci con un altissimo numero di episodi di autolesionismo.
  Ma a scatenare la TBC possono essere anche le terapie per la cura di altre malattie: ”Un nostro paziente che era risultato positivo alla Tubercolina ma senza alcuna lesione polmonare alla lastra del torace all’ingresso in carcere – spiega ancora Babudieri – ha iniziato la terapia per l’epatite C con Interferone e, dopo 8 mesi, ha sviluppato una TBC polmonare”. Il caso e’ stato cosi’ rilevante che la prestigiosa rivista scientifica ”Emerging Infectious Diseases”, organo ufficiale del Centers for Diseases Control di Atlanta (U.S.A.) ha pubblicato la segnalazione dell’equipe di Babudieri sul rischio di Tubercolosi polmonare durante la terapia con peginterferon-alfa per la cura dell’epatite C.
  Il rischio Tubercolosi per detenuti e operatori e’ dunque reale, ma potrebbe non essere cosi’ se, spiega ancora Babudieri, ”lo screening, oppure una visita specifica per il controllo della TBC venisse fatta in tutti gli Istituti ed in oltre il 70% dei residenti: il problema e’ che quel 47% di test e’ relativo solo agli Istituti dove lo screening viene eseguito, ma scende desolatamente al 13% se consideriamo tutti gli Istituti di cui disponiamo di dati. Se non c’e’ controllo il rischio puo’ diventare elevatissimo”.

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Author: SIMSPE

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