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Maria Grazia Floris
17/05/2011

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La tutela della salute dei detenuti

Quadro epidemiologico di riferimento

L’analisi dei numeri ci consente una prima importante considerazione, quale che la domanda di salute in carcere è in costante crescita essendo passati da 25.573 detenuti nel 1990 (presenti al 31 12 1990) a 55.275 nel 2001 (presenti al 31 12 2001); ma, se consideriamo il turnover degli arrestati e dei dimessi dalle istituzioni penitenziarie comprendiamo come l’offerta dei servizi sanitari coinvolga numeri vicini al doppio di quelli citati. A fronte di quanto riferito, i finanziamenti sugli appositi capitoli di bilancio hanno subito una forte riduzione negli ultimi anni. Le osservazioni relative alla distribuzione maschio/femmina e all’età chiariscono come la popolazione detenuta sia composta per il 90% di maschi di età inferiore a 40 anni. La forte presenza di detenuti stranieri (30%), soprattutto provenienti dal Nord Africa, Europa dell’Est, e America Latina sembra correlata all’aumento dei reati di traffico di sostanze stupefacenti.

Importante appare anche osservare come, a fronte di una sostanziale uniformità del numero dei detenuti nelle macroregioni del Centro-Nord e del Centro-Sud e Isole, la distribuzione sul territorio nazionale delle patologie di maggior impatto sociale e clinico (tossicodipendenza e malattia da HIV), analogamente a quanto accade fuori dal carcere, non è affatto omogenea, con regioni in cui le

presenze giornaliere medie superano le 100 unità quali la Lombardia (411), il Lazio (160) e il Piemonte (137), ed altre dove il problema della sieropositività per HIV in carcere appare irrilevante.

Le attuali risorse informatiche dell’Amministrazione Penitenziaria, sicuramente da potenziare, non consentono per ora di fornire dati ufficiali sulle altre patologie presenti in ambiente penitenziario, ma da singoli studi condotti in diversi anni e in differenti Istituti si può tranquillamente asserire che le psicopatie, le malattie diffusive (epatiti virali croniche, TBC) e quelle dell’apparato grastroenterico, sono presenti con percentuali notevolmente superiori a quelle osservate in libertà. Quanto riferito deve far pensare ad interventi tecnici differenziati nelle varie regioni, secondo progetti locali finalizzati che tengano presente la peculiarità della domanda di salute proveniente dalle carceri.

Quadro normativo di riferimento, che si incardina nella normativa nazionale

Non deve apparire superfluo, prima di illustrare le vaste aree di integrazione tra Sistema Sanitario Nazionale e Sistema Sanitario Penitenziario, ricordare seppur sommariamente il percorso evolutivo e soprattutto i principi ispiratori del diritto nello specifico settore della tutela della salute dei detenuti, fino al recente Regolamento di Esecuzione della legge 3541975 (DPR 30/6/2000 n.230).

La legge 30.11.1998, n.419, avente ad oggetto “Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale”, reca tra le quattro distinte deleghe legislative quella contenuta nell’art. 5 volta al riordino della medicina penitenziaria. In forza di questa previsione veniva emanato il d. lgv. 22.6.1999, n.230 che, ispirandosi all’art. 32 della Costituzione, sanciva il passaggio del personale sanitario e delle risorse dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al SSN, ricomponendo di fatto quella divisione nata con la legge 833/78 e riconfermata con tutte le successive leggi di riforma del Sistema Sanitario Nazionale.

Non si può però in tutta onestà disconoscere come lo stesso principio costituzionale di salvaguardia della salute come bene supremo e inviolabile dell’individuo era già alla base della L. 354/75 dove all’art.11 si stabilisce che “ogni Istituto Penitenziario deve essere dotato di servizio medico e farmaceutico rispondenti ad esigenze profilattiche e di cura della salute degli internati e deve disporre di almeno uno specialista in psichiatria”; ed ancora “qualora siano necessari cure ed accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, in ospedali civili od in altri luoghi esterni di cura”.

Sempre nell’articolo 11 della legge 340/75 si definiscono le attività sanitarie interne agli Istituti stabilendo l’obbligo di visita ai detenuti all’ingresso nella struttura, di periodici e frequenti riscontri indipendentemente dalla richiesta degli interessati, della disponibilità alle visite quotidiane, della sorveglianza sanitaria, delle attività relative alla Medicina del Lavoro, si forniscono indirizzi per l’isolamento sanitario per malattie contagiose e per il rispetto delle norme in tema di malattia psichiatria e salute mentale, si pone particolare attenzione alla tutela materno infantile. Infine si chiarisce come il Servizio Sanitario Penitenziario (SSP) deve essere organizzato in collaborazione con i servizi pubblici sanitari locali ospedalieri ed extra ospedalieri, d’intesa con la Regione e secondo gli indirizzi del Ministero della Sanità. Ancor prima, nel 1970 la legge 740/70 istituiva la figura dei Medici Incaricati ossia di quei Medici, che pur non appartenendo al personale di ruolo dell’Amministrazione Penitenziaria, intrattengono con essa uno stretto rapporto fiduciario (art. 1). La selezione (art. 3) di tale categoria avviene tramite pubblico concorso per titoli e l’incarico è conferito con Decreto del Ministro della giustizia (art. 13). Al Medico Incaricato (art. 2) non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità ed al cumulo di impieghi. Tale scelta riconosce motivazioni di carattere generale legate al momento contingente (negli anni 70 i medici potevano esercitare contemporaneamente più attività) e che mantengono una loro attualità in relazione alla flessibilità e all’economicità del modello proposto.

La Legge 12/8/93 n.296 all’art. 6, ha poi ampliato la non applicabilità delle limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il SSN a tutti i medici che a qualsiasi titolo operano all’interno degli Istituti Penitenziari. Gli artt. 51, 52 e 53, definiscono la presenza di guardia medica, successivamente trasformata in Servizio Integrativo di Assistenza Sanitaria, di consulenti specialisti e di infermieri, con rapporto di lavoro di tipo convenzionale, in relazione alle necessità degli Istituti.

Secondo quanto previsto dall’art. 17 del nuovo Regolamento di Esecuzione della legge 3541975 (DPR 30/6/2000 n.230, entrato in vigore quindi dopo l’approvazione della Legge 230/99) le persone detenute usufruiscono della assistenza sanitaria secondo le disposizioni della vigente normativa.

Le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e organizzazione dei servizi sanitari in ambito penitenziario, nonché di controllo sul funzionamento dei medesimi servizi, sono esercitate secondo le competenze e con le modalità indicate dalla vigente normativa.

In ogni istituto si devono svolgere attività di Medicina Preventiva che rilevino, segnalino ed intervengano in merito alle situazioni che possano favorire lo sviluppo di forme patologiche.

In maniera non esplicita il riferimento è attualmente indirizzato alla Legge 230/99, che sarà appresso esaminata, ma nel nuovo Regolamento di Esecuzione sono stati mantenuti diversi punti presenti nel precedente testo, relativi alle competenze affidate all’Amministrazione Penitenziaria per la gestione della salute in ambito detentivo.

Sulla base dei dati rilevati sulle esigenze sanitarie penitenziarie, il Ministero della Giustizia organizza reparti clinici e chirurgici (Centri Diagnostici Terapeutici) opportunamente dislocati nell’ambito nazionale.

Si prevede la sorveglianza psichiatrica negli Istituti, da attuare con Specialisti Psichiatri convenzionati, ove non fosse possibile assicurarla tramite Medici del ruolo dell’Amministrazione Penitenziaria.

Si disciplina la possibilità della richiesta da parte dei detenuti di essere visitati a proprie spese da un Sanitario di propria fiducia, anche con interventi nelle infermerie e nei CDT.

Si stabilisce che, qualora si debba provvedere con assoluta urgenza al trasferimento di un detenuto in luogo esterno di cura e non sia possibile ottenere l’immediata autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, il Direttore provveda direttamente al trasferimento.

L’art. 18 R. E. merita un attento esame perché affronta un tema cogente: il rimborso delle spese per prestazioni sanitarie.

  • È fatto divieto di richiedere alle persone detenute alcuna forma di partecipazione alla spesa per le prestazioni sanitarie erogate dal SSN.
  • I detenuti stranieri sono iscritti al SSN e ricevono l’assistenza sanitaria a carico del servizio pubblico (ASL) nel cui territorio ha sede l’Istituto di assegnazione.
  • L’assistenza da parte del servizio pubblico viene estesa ai familiari dei detenuti lavoratori.

All’art. 19 R. E. si affrontano le problematiche relative alla tutela del settore materno infantile prevedendo la presenza negli Istituti femminili di Specialisti Ginecologi, personale infermieristico Ostetrico, Pediatri, strutture quali asili nido e reparti.

L’art. 20 R. E. si interessa delle modalità di gestione dei detenuti infermi e seminfermi di mente, altro settore solo parzialmente affrontato nella 230/99. Per il settore sanitario si prevede che si debbano attuare interventi che favoriscano la partecipazione a tutte le attività trattamentali, ed in particolare a quelle che consentano le relazioni con la famiglia. Inoltre il Servizio Pubblico accede in Istituto per rilevare le condizioni degli interessati e concordare con gli operatori sanitari dell’Istituto l’individuazione di risorse esterne per la presa in carico da parte del SSN e per il successivo inserimento sociale.

Vengono inoltre disciplinate le attività lavorative, le possibilità di sanzioni disciplinari ecc. Vi sono, inoltre, articoli nei quali, pur non essendo espressamente citate, si prevedono competenze di pertinenza sanitaria dal punto di vista di controllo in prevenzione primaria e secondaria (ad esempio: art. 6 sulle condizioni igieniche ed illuminazione dei locali, art. 7 sui servizi igienici, art. 8 sull’igiene personale, ed ancora art. 23 sull’ingresso in Istituto, art. 73 sull’isolamento, art. 78 sui provvedimenti disciplinari in via cautelare ecc).

Il Nuovo Regolamento di Esecuzione conclude l’esame degli articoli di interesse strettamente sanitario stabilendo che gli articoli esaminati si applicano fino alla completa attuazione del Decreto Legislativo 230/99.

L’organizzazione sanitaria penitenziaria ha quindi proprie peculiarità rispondenti alle esigenze di un’utenza particolare tanto che il Consiglio di Stato – con parere del 7.7.1987 – ha riconosciuto che l’assistenza sanitaria ai detenuti si configura come settore dell’organizzazione statale, incardinato nell’Amministrazione Penitenziaria e volto alla tutela della salute dei detenuti, nell’ambito del più generale compito demandato allo Stato di dare esecuzione alle misure restrittive della libertà personale, assicurando nel contempo un trattamento del detenuto conforme ad umanità e rispettoso dei diritti fondamentali, non incompatibili con lo stato di detenzione (in particolare del diritto alla salute).

Non si può quindi negare che l’Amministrazione Penitenziaria, a fronte di una normativa frammentaria e sotto certi aspetti lacunosa e con tutti i limiti dovuti alla carenza di finanziamenti, di personale, di strutture, e al sovraffollamento di malati, ha perseguito, con propri indirizzi e con mezzi infinitamente inferiori rispetto al S.S.N., di organizzare un sistema sanitario “intramoenia” il più rispondente possibile alle esigenze di salute della popolazione detenuta.

Il d.l.vo 230/99 non ha colmato nessun vuoto assistenziale preesistente né ha modificato la tipologia di assistenza a carattere pubblico del detenuto, ma ha inteso modificare l’ente erogatore stabilendo che debba essere il Ministero della Salute piuttosto che il Ministero della Giustizia. Del resto la creazione di un circuito “clausus”, il mantenimento dello status quo ha rafforzato la funzione e il ruolo della “medicina penitenziaria”, ruolo, giova ricordarlo, che il personale sanitario ha costruito sul campo e che non ha ancora trovato una giusta collocazione all’interno del disegno riformista. Interessante è anche esporre l’analisi della Corte dei Conti sui criteri che hanno governato la spesa per il servizio sanitario nel periodo 1997-99 e sull’attività amministrativa svolta con l’obiettivo di assicurare ai soggetti ristretti presso le strutture carcerarie per adulti e per minori l’esercizio del diritto alla salute fisica e psichica. L’indagine riguarda il periodo di spesa che precede la fase di avvio del d. lgs. 230/99 e pone in evidenza la complessità del compito di assistere un’utenza distribuita in oltre 190 Istituti per adulti ed in 27 strutture per minori (10 centri di prima accoglienza e 17 Istituti penali per minori), garantendo nel contempo la sicurezza del personale sanitario e dei pazienti. La stessa Corte evidenzia poi la sottovalutazione delle difficoltà del riordino, apparso subito molto più complesso rispetto a quello prefigurato nella sede legislativa, ordinaria e delegata. Afferma ancora la Corte che la spesa statale sostenuta non è proporzionale alla quantità dei soggetti assistiti, oscillando tra i 4,4 ed i 4,8 milioni annui per assistito, adulto e minore, a fronte di costi medi rilevati per il Servizio sanitario nazionale di circa 2.000.000 per abitante. Tale calcolo si è però basato sulla presenza media giornaliera, costituita da circa 50.000 detenuti per anno, mentre avrebbe dovuto comprendere tutti i detenuti transitati negli Istituti nel corso dell’anno (100.000 circa); con tale correzione la spesa capitaria della sanità penitenziaria è pressoché analoga a quella del S.S.N. L’attuazione di una riforma migliorativa dell’assistenza sanitaria negli Istituti “a costi invariati” così come previsto nel decreto è apparsa subito di difficile applicazione.

 

Decreto legislativo 230/99 e relativi decreti attuativi: normativa e scenari collaborativi

La legge opera preliminarmente una ripartizione delle competenze in materia sanitaria tra il Ministero della Salute e il Ministero della Giustizia prevedendo, attraverso forme graduali:

  • il trasferimento al primo delle funzioni sanitarie, in specie di programmazione, indirizzo e coordinamento tra strutture penitenziarie, Amministrazioni Centrali, Regioni e AASSLL connesse con l’esigenza primaria di tutela della salute dei detenuti;
  • l’istituzione di un contingente di personale medico e sanitario da destinare all’Amministrazione Penitenziaria.

Dal punto di vista procedurale sono individuati due differenti percorsi:

  • il trasferimento, alla data del 1.1.2000, dal Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria alle ASL di tutto il territorio nazionale, delle sole funzioni relative alla prevenzione generale e alla diagnosi e terapia delle tossicodipendenze;
  • l’individuazione di almeno tre Regioni nelle quali avviare il trasferimento graduale in forma sperimentale anche di tutte le altre funzioni sanitarie.

Venendo ad una breve e parziale disamina dei nove articoli di cui si compone il decreto, nel primo si afferma il diritto alla salute dei detenuti e degli internati, al fine di assicurare loro condizioni uniformi per tutti i livelli di assistenza individuati nel Piano Sanitario Nazionale con l’esclusione, per la popolazione detenuta di partecipazione alle spese di prestazione sanitaria. Viene prevista inoltre l’iscrizione obbligatoria al SSN limitatamente al periodo detentivo, anche degli stranieri che “hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia”. L’iscrizione e l’identità del soggetto erogatore dell’assistenza consentono così di evitare quei fenomeni di mancanza di assistenza che caratterizzava lo straniero prima e dopo la dimissione dal carcere. Non si pongono peraltro problemi di ticket dato che il 6° comma prevede l’esclusione di tutti i reclusi dal sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria per le prestazioni erogate dal SSN. Il riconoscimento dell’esenzione risolve anche quei problemi legati all’accertamento dello stato d’indigenza favorendo un eguale accesso alle prestazioni sanitarie senza dover ricorrere all’attestazione dell’esenzione per patologia d’organo.

Il 4° comma abolendo la disciplina instaurata con le circolari amministrative stabilisce, per i detenuti e gli internati, il mantenimento dell’iscrizione al SSN.

L’applicazione del sopra citato articolo, che non sembrava apparentemente presentare difficoltà di attuazione, è stata in verità disattesa in molte Regioni; per favorire l’applicazione di questo disposto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha disposto, attraverso i propri Provveditorati regionali, l’istituzione, là dove non già presente, presso gli uffici matricola degli istituti penitenziari, di un elenco aggiornato dei codici di iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale di tutti i detenuti e gli internati presenti, compresi gli stranieri. Per questi ultimi si provvederà a richiedere l’iscrizione ai competenti Uffici ASL, al fine di garantire la medesima assistenza offerta ai cittadini non detenuti specificatamente in materia di fruizione dei farmaci e prestazioni specialistiche e di laboratorio presso strutture sanitarie esterne, qualora necessario.

Si è chiesto inoltre agli Assessorati alla Sanità Regionali che ai Dirigenti o Coordinatori responsabili dell’area sanitaria venga rilasciato dalla ASL competente il ricettario regionale per la prescrizione dei farmaci urgenti non disponibili nell’armadio farmaceutico dell’Istituto da acquisirsi sempre senza oneri di partecipazione alla spesa.

L’art. 2 della 230 stabilisce il principio che l’assistenza sanitaria richiede preventivamente la collaborazione reciproca delle due Amministrazioni, che sola può garantire l’effettività delle prestazioni ed una attuazione degli obiettivi conforme alle previsioni dei Piani sanitari. In tale direzione è disposta la globalità degli interventi di assistenza sociale e sanitaria da attuare in maniera uniforme da parte dello Stato, delle Regioni e Province autonome, dei Comuni, delle Aziende sanitarie e degli Istituti penitenziari, attraverso anche sistemi di informazione ed educazione sanitaria.

Nell’art. 3 vengono specificate le competenze degli organi del SSN, prevedendo l’intervento delle Autorità sanitarie che portano il loro modello amministrativo decentrato all’interno delle carceri:

a.         il Ministero della Sanità esercita le competenze in materia di programmazione, di indirizzo e di coordinamento del SSN negli Istituti penitenziari;

b.         le Regioni esercitano le competenze in ordine alle funzioni di organizzazione e programmazione dei servizi sanitari regionali negli Istituti penitenziari e il controllo sul funzionamento degli stessi;

c.         alle AASSLL sono affidati la gestione e il controllo dei servizi sanitari negli Istituti.

È stabilita, inoltre, una responsabilità del Direttore Generale (della struttura sanitaria) che risponde della mancata applicazione e dei ritardi nell’attuazione delle misure previste ai fini dello svolgimento dell’assistenza sanitaria penitenziaria.

Pare importante sottolineare il riconoscimento di una funzione di impulso all’Amministrazione Penitenziaria (art. 3, comma 4 del d. lgs. 2301999) che interviene attivamente per segnalare, in caso di inerzia e ai fini dell’attivazione di poteri sostitutivi, alle Autorità sanitarie locali, regionali e direttamente al Ministero della Salute, le questioni attinenti alla mancata osservanza delle disposizioni del decreto.

Per il resto all’Amministrazione Penitenziaria compete la funzione di garanzia della sicurezza negli Istituti e nei luoghi esterni di cura (art. 2, comma 4) e l’individuazione di un contingente di personale medico e sanitario da destinare all’Amministrazione Penitenziaria (art. 4, comma 4).

In attuazione dell’art. 5 del citato decreto, in data 21 aprile 2000, è stato emanato, nell’ambito del Piano Sanitario Nazionale, il Decreto interministeriale denominato “Approvazione del progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario” che definisce gli orientamenti per le Regioni nella elaborazione dei Piani regionali di assistenza alla popolazione detenuta.

In particolare, il progetto si incarica di indicare:

a.         gli indirizzi specifici finalizzati ad orientare il SSN verso il miglioramento continuo dell’assistenza negli Istituti penitenziari;

b.         i modelli organizzativi dei servizi sanitari penitenziari anche di tipo dipartimentale differenziati per tipologie d’istituto;

c.         le esigenze relative alla formazione specifica dell’assistenza sanitaria in ambito penitenziario;

d.         le linee-guida finalizzate a favorire all’interno degli Istituti lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e valutazione dell’assistenza erogata e ad assicurare l’applicazione dei livelli uniformi, essenziali e appropriati di assistenza;

e.         gli obiettivi specifici di salute da raggiungere nel triennio (medicina generale, assistenza farmaceutica, medicina specialistica, assistenza sanitaria alle persone immigrate detenute, tossicodipendenza, prevenzione, tutela della salute mentale, malattie infettive, attività di riabilitazione).

L’art. 7 dispone il trasferimento delle risorse finanziarie, iscritte nello stato di previsione della spesa del Ministero di Grazia e Giustizia, al Fondo sanitario nazionale senza però superare l’ammontare delle risorse attualmente assegnate all’Amministrazione Penitenziaria. Dal punto di vista della mole degli investimenti non vi è stata dunque alcuna variazione, anzi si è assistito per il 2002 ad una riduzione di circa il 13% dei finanziamenti.

In relazione alla “sperimentazione” prevista all’art. 8 comma 2, con decreto del Ministero della Sanità e del Ministero della Giustizia del 20-4-2000, venivano individuate le tre Regioni, Toscana, Lazio e Puglia, ove avviare la fase sperimentale che si doveva concludere il 22 novembre 2000.

Con il successivo decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 433 sono state apportate disposizioni correttive del decreto legislativo 230/99; in particolare il nuovo termine della durata della fase sperimentale veniva prorogato al 30 giugno 2002 e la sperimentazione estesa alle Regioni e alle province autonome che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto n. 433 avessero fatto richiesta di partecipazione al Ministero della Salute e al Ministero della Giustizia.

Entro il termine sopraindicato facevano richiesta di partecipare alla fase sperimentale anche le Regioni Campania, Emilia Romagna e Molise.

Giunti al termine della sperimentazione, siamo in attesa quindi delle determinazioni che i Ministeri della Giustizia e della Salute vorranno adottare sulla base dei dati tecnici elaborati dal “Comitato per il monitoraggio e la valutazione della fase di riordino della medicina penitenziaria” (costituito con Decreto del Ministro della Salute in data 18 aprile 2002) e della “Commissione interministeriale di studio per il rinnovamento del servizio sanitario penitenziario” (istituita con Decreto del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro della Salute del 16 maggio 2002), i cui lavori sono tutt’ora in corso.

Non è questa la sede per giudicare se il lavoro svolto, nelle Regioni sede di sperimentazione, dagli Assessorati alla Sanità e dai Provveditorati abbia prodotto e in quale misura modifiche migliorative all’assetto organizzativo dell’assistenza sanitaria in carcere; l’Amministrazione Penitenziaria, nel dettagliato rapporto conclusivo fornito ai Dicasteri della Giustizia e della Sanità, ha comunque evidenziato come anche in questa occasione la Regione Toscana, attraverso un prezioso contributo di idee e di proposte, abbia confermato quella tradizione di forte impegno socio-sanitario a favore della popolazione detenuta che da sempre la contraddistingue.

Tanto premesso appare chiaro che l’individuazione della migliore modalità possibile di garantire Livelli Essenziali di Assistenza (DPCM 29.11.2001) alle persone detenute deve tener presente la vastità delle problematiche insite nella realtà attuale dei nostri Istituti Penitenziari: da quelle sociali a quelle cliniche, dagli aspetti organizzativi- normativi a quelli medico- legali ed economici, dai rapporti tra diverse istituzioni dello Stato a quelli tra associazioni di categoria, O.N.L.U.S., volontariato e Amministrazione Penitenziaria ecc.

Pur necessitando ognuno di questi campi di approfondimenti e di analisi specifiche da parte degli esperti di ogni settore, è indispensabile in questa sede non perdere mai di vista la globalità del fenomeno all’interno del quale ci muoviamo, che per la sua complessità non consente, pena il fallimento di ogni intervento, di considerare secondario nessuno degli elementi che lo compongono. Si tratta preliminarmente e fondamentalmente quindi di favorire le “mission” dei due dicasteri responsabili, Giustizia e Salute, banalizzate ora rispettivamente nei concetti di eguale diritto alla salute di tutte le persone presenti sul territorio Nazionale, di sicurezza e recupero sociale; si tratta di perseguire un obiettivo concreto di integrazione forte dei due Servizi evitando che l’uno entri in contrasto con l’altro.

Devono essere quindi individuati, forti delle esperienze passate, i punti basilari che consentano di raggiungere tale obiettivo, considerare le risorse disponibili, la scelta degli strumenti operativi, la tempistica, le criticità, le possibili alternative.

 

Le risorse. L’esame, partendo dalla valutazione delle risorse finanziarie e di personale già presenti, deve giungere ad individuare gli standard necessari ad assicurare i livelli essenziali di assistenza al di sotto dei quali perde efficacia qualsiasi intervento. L’economia che sostiene le possibilità di intervento del SSN è poderosa rispetto a quella del penitenziario, ma per quanto riguarda il campo del personale, a parità di “attività” quello in rapporto con il SSN richiede un impegno economico decisamente maggiore rispetto a quello in rapporto con l’Amministrazione Penitenziaria. In più, l’applicazione dell’art. 4 della L. 230/99 comporta che accanto al personale sanitario dipendente ASL, operino all’interno degli Istituti anche operatori dipendenti della Giustizia. I costi attuali del Servizio Sanitario Penitenziario in relazione alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, abbiamo chiarito, sono quasi sovrapponibili a quelle del SSN, anche se è indubbio che quest’ultimo sviluppa una possibilità di intervento complessivo non limitato al medio livello, ma si estende alle alte specializzazioni. Si sottolinea comunque come gli investimenti complessivi necessari per implementare gli attuali livelli assistenziali negli istituti penitenziari debbano essere notevolmente superiori a quelli attualmente destinati allo specifico capitolo del Ministero della Giustizia; d’altra parte, dal punto di vista quantitativo, il finanziamento richiesto appare fondamentalmente sostenibile (dalle Regioni? dal Ministero del Tesoro?), essendo assimilabile a quello impiegato per il territorio di una grande Azienda Sanitaria Locale.

 

Gli strumenti operativi. È necessario pensare ad una normativa che sostenga una organizzazione agile, in grado di rispondere in tempi brevi alle necessità emergenti (caratteristica peculiare dell’ambito penitenziario), modulare sia alle normative regionali che alla realtà dei singoli Istituti.

A tale proposito la L. 740/70, pur se datata, ha avuto il pregio quasi avveniristico di prevedere un modello facilmente modificabile e versatile, collaudato per affrontare le emergenze che periodicamente hanno interessato il penitenziario, fornendo, pur nella limitatezza dei mezzi, risposte appropriate. L’acquisizione del personale avviene attraverso una normativa che permette meccanismi veloci, tali da consentire un veloce adeguamento di figure professionali alle diverse e variabili necessità, con meccanismi di valutazione meritocratici e di adeguatezza “ambientale” nella scelta. Le risorse economiche che sostengono l’esercizio del personale sono contenute (in quest’ultimo periodo anche troppo) e, pur se necessariamente da ritoccare, non propongono un eccesso di impegno economico in relazione ai risultati. L’esercizio dell’assistenza diagnostica e terapeutica risulta di costo relativo ed in linea generale non certo superiore a quello espresso dal SSN per pari prestazioni, anche se non è in grado di esprimere pari possibilità di risposta in tutti i campi.

 

La gradualità. Il progetto deve poter essere realizzabile attraverso tappe differenziate che favoriscano il necessario adeguamento degli operatori ai cambiamenti organizzativi proposti.

Schematizzando le ipotesi di rivisitazione dell’attuale sistema di assistenza sanitaria alle persone detenute dovrebbero essere ispirate oltre che verso obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano Sanitario Nazionale, nei Piani sanitari regionali e in quelli locali, anche a:

La definizione dei margini di intervento. La realizzazione di un intervento integrato che coinvolge diverse figure professionali appartenenti a due dicasteri Sanità e Giustizia entrambi responsabili, a diversi livelli, della salute e del trattamento delle persone detenute, implica la necessità di delineare con la minore approssimazione possibile le rispettive competenze e aree di intervento.

Condivisibilità del progetto. Il quadro riformatore deve essere condiviso oltre che dai due Ministeri anche dalle Regioni, dagli Enti locali, dalle associazioni di volontariato e dai rappresentanti di categoria. Per tale motivo si potrebbe valutare l’opportunità di presentare, sui differenti tavoli di lavoro, non un progetto “blindato” ma suscettibile di accogliere eventuali suggerimenti che dovessero provenire da tali sedi.

È bene infine chiarire, nella confusione di termini cui si incorre in questo specifico settore dell’assistenza sanitaria, che oggetto della riforma è esclusivamente la Sanità Penitenziaria, intesa come insieme di strutture, servizi, risorse finanziarie e professionali, dedicate al soddisfacimento della domanda di salute proveniente dagli Istituti penitenziari. Tale domanda di salute, niente affatto simile a quella che si può osservare all’esterno, necessita di studi capaci di individuare e rimuovere tutti quei fattori che esercitano una reazione reciproca tra uomo e ambiente confinato causando malattia e disagio per la persona detenuta e negli gli operatori penitenziari. In questo consiste la specificità della Medicina Penitenziaria, disciplina a se stante nell’ambito più vasto della Medicina delle Comunità. Una riforma della Sanità Penitenziaria che non tenga presente i risultati della ricerca equivale a realizzare interventi ed investimenti privi della necessaria organicità e scarsamente orientati alla soluzione dei problemi sanitari di maggiore impatto in ambiente penitenziario. A tal proposito il Decreto dell’aprile 2000 sul progetto obiettivo è un primo importante tentativo di fissare le aree di intervento con precisione ed attualità e rappresenta la vera novità nel campo della tutela della salute in ambito detentivo. Purtroppo è innegabile come tale Decreto abbia trovato e trovi difficoltà di applicazione anche nei settori sanitari già transitati, la tossicodipendenza e la medicina preventiva, a causa della frammentarietà degli interventi, affidati troppo spesso alla buona volontà degli organi periferici delle ASL, senza precise indicazioni e controlli da parte delle Regioni.

E solo superando e rafforzando questo fronte, unitamente al raggiungimento della gratuità dell’assistenza farmaceutica e specialistica e alla realizzazione della rete di reparti ospedalieri per la popolazione detenuta, non potendosi ritenere soddisfacenti né l’impegno né tanto meno i risultati raggiunti in questi ambiti, potremo cimentarci nel disegno riformatore di più vaste proporzioni sopra delineato.

Bruna Brunetti-Giulio Starnini

 

Firenze 13 settembre 2002

Maria Grazia Floris
Author: Maria Grazia Floris

Medico chirurgo

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