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20/03/2019

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LA PRESA IN CARICO DELL’UTENTE DETENUTO

Milano, 20 marzo 2019 – Nella moderna evoluzione del sistema sanitario, all’interno della definizione di comunità confinate si possono annoverare anche gli istituti penitenziari. In Italia, dal 14 giugno 2008, le competenze sanitarie in ambito penitenziario, i rapporti di lavoro e le risorse economiche e strumentali, prima di allora in capo al Ministero della Giustizia, sono state trasferite al Sistema Sanitario Nazionale e, quindi, a Regioni e ASL. Il D.P.C.M. 30 maggio 2001, completa il trasferimento di competenze iniziato con il D.Lgs. n. 230/1999, dell’allora ministro della salute Rosi Bindi, attraverso il quale era stata decisa la riconduzione della sanità penitenziaria nel Servizio sanitario Nazionale.
Storicamente parlando e non solo per quanto accaduto, si potrebbe definire l’attuale come un momento assai importante, che trae origine da un ampio e lungo dibattito sviluppatosi nel corso degli anni’90.
I movimenti di opinione nati al fine di favorire il passaggio delle competenze sanitarie in ambito penitenziario al servizio sanitario nazionale che arrivò a coinvolgere Enti locali, sindacati, autorità politiche, hanno segnato come una pietra miliare la tutela della salute dei detenuti. Perciò, è possibile considerare quanto accaduto un importante passo avanti per la civiltà stessa e per l’ordinamento penitenziario. Un momento importante anche dal punto di vista della ristrutturazione di un rapporto di maggior collaborazione tra gli ambienti detentivi e la società. Già con la L. 354 del 1975 (Ordinamento penitenziario), uno degli argomenti più controversi fu la determinazione  dellecompetenze in materia di salute. I principi espressi  nel Consiglio Europe 2, che hanno generatodiverse risoluzioni circa la necessità di riservare ai detenuti un trattamento sanitario equivalente alle persone in stato di libertà, hanno fatto si che tutti i paesi dell’Unione considerassero questo problema e programmassero norme di recepimento. L’Italia, insieme alla Francia, alla Germania e altri Paesi sono stati i primi a legiferare in tema di sanità penitenziaria rendendo applicabili all’interno delle carceri tutte le opzioni disponibili sul territorio per i cittadini liberi, anche se in Italia, non tutte le Regioni hanno recepito nello stesso momento ciò che l’Europa ha legiferato in3 merito.  La legge 833 del  1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale testualmente recita: “la salute d’ogni individuo (i detenuti non vengono citati, ma neanche espressamente esclusi) deve essere assicurata dai Servizio sanitario nazionale, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana”. Il diritto alla salute di coloro che si trovano in condizione di privazione della libertà deve essere, quindi, garantito quale diritto inviolabile dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. L’istituto penitenziario in cui un individuo viene ristretto, assume il contesto in cui lo stesso esplica la propria personalità. Troppo spesso, si dimentica che nel nostro ordinamento il sistema penitenziario è deputato, attraverso l’attuazione della vigente normativa e la predisposizione di un apparato organizzativo, a garantire la tutela della salute della popolazione detenuta, compreso, in caso di necessità, il trasferimento del detenuto in un ambito di cura più idoneo alle esigenze del caso, per esempio, adiacente o all’interno di una qualsiasi unità operativa di un qualsiasi Presidio Ospedaliero. Spetta infatti alla direzione strategica/sanitaria della Struttura Ospedaliera, decidere il luogo più idoneo e/o l’ubicazione dell’utente detenuto nella migliore situazione possibile, che tenga in considerazione anche le esigenze degli altri utenti ricoverati. Le ragioni della rilevanza della tutela non sembrano, a prima vista, così evidenti. Non dobbiamo infatti incanalarci in quella che si può definire una visione dell’immaginario comune. Secondo questo punto di vista, il carcere è interpretato quale istituzione “restrittiva” e non luogo dove ci si attenda di provvedere alla cura delle persone recluse. Gli operatori sanitari all’interno di questi istituti, valutano le migliori soluzioni assistenziali, anche compresa, dove non sia disponibile una struttura adeguata per accoglierlo in ambiente ospedaliero, in accordo con il magistrato, l’eventuale trasferimento dell’utente detenuto, in una unità operativa. Sarà poi la Polizia Penitenziaria ad occuparsi dell’aspetto sicurezza. E’ possibile comprendere il punto di vista del cittadino comune, infatti è comune pensare e quindi credere che nell’ambiente carcerario, dove quotidiana è la tensione tra i momenti della sicurezza e del trattamento, il problema sanitario rivesta una posizione “marginale/occasionale”. La normativa, però, individua il ruolo degli operatori sanitari che prestano la loro opera in carcere, come coloro che esercitano l’insieme di quelle attività/prestazioni volte al mantenimento e alla conservazione del bene salute.
Infatti così come recita l’art. 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La salute è un fondamentale diritto di tutti i cittadini, pertanto è indispensabile e giusto che questo diritto possa essere rispettato anche negli istituti detentivi, quale presupposto indispensabile per una corretta esplicazione dei fini istituzionali dell’amministrazione.
In altri termini, l’amministrazione penitenziaria, pur avendo il compito di gestire  l’esecuzione penale, ha il dovere, attraverso l’attività di tutela della salute della popolazione detenuta, di garantire il rispetto di quella dimensione personale senza la quale il carcere diverrebbe sempre più luogo di contenimento di semplici corpi ripiegati negli spazi angusti ed infelici della detenzione. Se così fosse, l’esecuzione della pena si risolverebbe illegittimamente in un trattamento contrario al senso di umanità (art. 27 della Costituzione Italiana). Appare chiaro, per tali ragioni, che la risposta sanitaria deve essere efficace ed avvalersi di un modello organizzativo adeguato a fronteggiare le diverse emergenze in un ambiente caratterizzato da una forte variabilità quotidiana.
Avendo chiarito quindi gli aspetti legati ai principi secondo i quali un detenuto ha diritto di essere curato nell’ambiente sanitario più idoneo, che l’incombenza di trovare una soluzione che  permetta di tutelare i diritti di tutti gli attori coinvolti, quali per esempio gli utenti, detenuti e  non, gli operatori nosocomiali, sanitari e non, ricada di fatto tra le responsabilità degli amministratori della struttura sanitaria accogliente, sarà possibile affrontare il problema temuto dal cittadino comune, legato all’incolumità degli operatori.Per ciò che riguarda gli infermieri, il codice deontologico dell’infermiere, che non è da considerare quale semplice elenco di regole promulgate da una categoria professionale al fine di autoregolamentarsi, è invece da considerare quale codice assimilabile ad una norma giuridica per effetto della legge 42 del 1999 che abroga il mansionario dell’infermiere. Non solo, la stessa norma definisce come l’infermiere, ora considerato professionista, di quali strumenti debba avvalersi per poter individuare il campo professionale e deontologico di appartenenza e su quali pilastri fondare il proprio esercizio professionale e nel contempo quali regole deontologiche osservare. Oltre alla formazione di base, che da quel momento è praticabile solo in ambito universitario, frequentando un corso di laurea triennale, con la possibilità di accedere ad una formazione post base di 1° livello, è possibile completare il percorso formativo iscrivendosi alla laurea di 2° livello e conseguendo così una laurea magistrale in scienze infermieristiche ed ostetriche, con la possibilità di accedere alla formazione post laurea di 2° livello. Inoltre il professionista infermiere deve fondare la sua azione professionale nel rispetto del profilo professionale dell’infermiere D.M. 739 del 1994 e del codice deontologico dell’infermiere, che a causa della menzione nella legge n° 42 del 1999, come dicevo prima assume valore di norma giuridica. Infatti l’infermiere non può esercitare la professione se non fonda in modo chiaro il suo esercizio professionale su questi “ pilastri fondanti la professione infermieristica”.E’ per questo motivo, che se andiamo a leggere il codice deontologico dell’infermiere troviamo qualche articolo che può aiutare a superare i nostri dubbi di cittadini comuni.Nella parte introduttiva, nel capitolo riguardante: “L’infermiere e la relazione con la persona/assistito”, ad un certo punto viene affrontato il problema della responsabilità: “….Anche la responsabilità, legata all’autonomia, è intesa come un principio guida dell’agire professionale. L’assunzione di responsabilità pone l’infermiere in una condizione di costante impegno: quando assiste, quando cura e si prende cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo. Quando si richiama ai principi di equità e giustizia nell’assumere decisioni organizzativo gestionali, quando rispetta valori etici, religiosi e culturali oltre che il genere e le condizioni sociali della persona/assistito  nell’assumere decisioni assistenziali. L’infermiere è un soggetto attivo, che agisce in prima persona  con  autonomia di scelta e di responsabilità entro una cornice valoriale in cui il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e i principi etici della professione è condizione essenziale per assistere e perseguire la salute intesa come bene fondamentale del singolo e interesse peculiare della collettività … La mission primaria dell’infermiere è il prendersi cura della persona che assiste in logica olistica considerando le sue relazioni sociali e il contesto ambientale. … Articolo  7: L’infermiere orienta la sua azione al bene dell’assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare quando ci sia disabilità, svantaggio, fragilità…. Articolo 10 : L’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l’uso ottimale delle risorse disponibili. … Articolo 17; L’infermiere, nell’agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da pressioni o interessi di assistiti, familiari, altri operatori, imprese, associazioni, organismi. … Articolo 29: L’infermiere concorre a  promuovere  le  migliori condizioni di sicurezza dell’assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico.  … Articolo  33 : L’infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito mette in opera tutti i mezzi per proteggerlo, segnalando le circostanze ove necessario, all’autorità competente.   “Come è possibile osservare, l’infermiere ha gli strumenti per decidere e di fatto non si fa influenzare da situazioni che portino a delle scelte che vadano in contrasto con il bene dell’assistito, o meglio di tutti gli assistiti. Di fatto tutti gli infermieri, avvalendosi della clausola di coscienza rendono trasparenti la loro opposizione a richieste in contrasto con i principi della professione e con i suoi valori, al di fuori delle situazioni in cui l’obiezione è prevista e regolamentata per legge, ma non mi sembra che le situazioni legate all’operare in una comunità confinata, possano rientrare nello specifico in questa ultima fattispecie, pertanto credo che, quello di cui ci si debba preoccupare è il cercare di mettere in condizione gli infermieri e tutti gli operatori sanitari di poter operare con la tranquillità professionale che meritano e per iniziare questo percorso, suggerirei invece, di riflettere circa argomenti che possano indicarci se di fatto, sussistano le condizioni di operare secondo le regole previste per legge.
Cosa prevede il DPCM 12 gennaio 2017 ? Come garantire i Lea, come monitorarli? L’articolo 58 del DPCM 12 gennaio 2017 recita:«Ai sensi dell’art. 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il Servizio sanitario nazionale garantisce l’assistenza sanitaria alle persone detenute, internate ed ai minorenni sottoposti a provvedimento penale, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria». Cosa prevede il decreto n° 502 del 1992 ?Il Decreto n° 502 del 1992 , prevede che «…le regioni e le unità sanitarie locali per quanto di propria competenza adottano i provvedimenti necessari ……fondati  sul  criterio dell’accreditamento delle istituzioni, sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate». Inoltre definisce, «… i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicità della verifica…..». Il riordino della disciplina in materia sanitaria che ha introdotto il criterio dell’accreditamento dei soggetti erogatori, prevede inoltre che «…La omologazione ad esercitare può essere acquisita se la struttura o il servizio dispongono effettivamente di dotazioni strumentali, tecniche e professionali corrispondenti ai criteri definiti in sede nazionale  ».Ebbene, il discorso sarebbe molto lungo e complicato, ma per iniziare, è possibile ipotizzare che attualmente gli operatori sanitari stiano in qualche modo cercando di tenere in piedi una struttura, che purtroppo manca di fondamenta? Non sarebbe più utile cercare di comprendere perché già dal 1992 in Italia si afferma il principio dell’accreditamento istituzionale, ivi compresi l’individuazione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicità della verifica? Di fatto, se mancano questi criteri, che fissano per legge, per esempio, quali risorse debbono essere previste in una determinata unità operativa e soprattutto come, da chi e con che frequenza debbano essere organizzati i controlli per la verifica del rispetto dei requisiti di accreditamento? Come si potrà definire se il numero di operatori assegnati a quella unità operativa siano adeguati o meno? Vedete, in Italia una alcune leggi promulgate ormai da moltissimi anni non vengono applicate, anzi, quanti sono i contesti dove viene applicata la legge 502 del 1992, nella parte che prevede quale obbligo Nazionale l’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie?Perché non partiamo dalle fondamenta per costruire questo palazzo che viene definito sanità? Infondo non è difficile pensare che se tali leggi non vengono recepite ed applicate, sia molto difficile rispettare i LEA per esempio, perché ogni amministratore utilizzerà le risorse secondo il proprio estro creativo.Credo sia errato concentrare l’attenzione su un aspetto populistico del problema assistenza dell’utente detenuto in carcere = pericolo certo, andando così a trovare il modo discaricare il peso di un problema su qualcun altro. La vera verità è che come al solito l’importante è trovare il modo di rovesciare tale incombenza su qualsiasi altra persona, conseguente sarà poi la scarsa importanza attribuita al trovare un modo o meno di risolvere il problema. Infatti non sarà determinante il fatto che tale cittadino, detenuto o meno trovi il modo di essere assistito, qualche altra persona forse troverà il modo di occuparsene. Spesso però il vero è, che nessuno si preoccuperà di dar seguito ad una soluzione, lasciando come al solito l’utente solo, con un fiammifero acceso tra le dita, che troppo in fretta si spegnerà causando una piccola o grande ustione al nostro malcapitato di turno, la determinante potrà essere individuata nel fatto di ritrovarsi o meno con un’ulteriore lesione sulle sue superstiti due dita funzionantio meno. Purtroppo però l’ironia della sorte fa si che troppo spesso gli ultimi siano i più coinvolti in problematiche che li vedono quali soggetti nelle cui dita si spengono i fiammiferi che la nostra società non sa come e dove spegnere, una sorta di imposta che a priori i più deboli, si dovranno spesso trovare a pagare, consumando loro malgrado tutte le loro dita disponibili.  _1 D.Lgs. 22 giugno 1999, n. 230, “Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’art. 5, della legge 30 novembre1998, n. 419” (in G.U. 16 luglio 1999, n. 165, suppl. ord. n. 132).2 Nel 1987, il Consiglio d’Europa, ha adottato le c.d. Regole minime europee in materia penitenziaria, sulla base di unprecedente documento del 1976 concernente il trattamento dei detenuti. La finalità è di stabilire una base di regole minime su tutti gli aspetti dell’Amministrazione penitenziaria “che siano essenziali per  assicurare  delle condizioniumane di detenzione e un trattamento positivo”. Nel Preambolo, si prospetta, inoltre, la possibilità di una evoluzione ditali norme, attraverso l’impegno a “definire criteri di base realistici, che permettano alle amministrazioni penitenziariedi giudicare i risultati ottenuti e di misurare i progressi in funzione di più elevati standard qualitativi” nella dichiarataconvinzione che l’ambiente e le condizioni personali sono determinanti nei progetti trattamentali di rieducazione. Nell’art. 1 si legge che “la privazione della libertà deve eseguirsi in condizioni materiali e morali che salvaguardino ilrispetto della dignità umana e in conformità con queste regole”. E ancora all’art. 3: “la finalità del trattamento dei detenuti deve essere quella di salvaguardare la salute e la dignità”. Particolare attenzione viene rivolta allecaratteristiche degli istituti, degli ambienti e dei regimi di vita negli stessi e alla tutela della salute del detenuto attraverso una serie di regole sulla prevenzione, sul servizio sanitario generico e specialistico.3 La Riforma sanitaria del 1978 – com’è noto- ha introdotto radicali modifiche istituzionali e di competenza finalizzatealla promozione, al mantenimento e recupero della salute fisica e psichica. Ha innestato ed attivato aspettative, esigenze e nuove necessità, modificando progressivamente la coscienza socio-sanitaria e facendo crescere la domanda di salute,sia in termini di servizi che di assistenza.

Dott. Luca Amedeo Meani

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Author: SIMSPE

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