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Luca Meani
19/02/2016

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“La libertà” di farsi curare in carcere: l’esperienza di Milano

Il paziente ristretto e il ruolo dell’infermiere nell’assistenza infermieristica per la cura dell’HCV con i nuovi farmaci inibitori della proteasi di seconda generazione.

Milano, 19.02.2016 –

Dal gennaio 2015 sono diventati disponibili i trattamenti per HCV cronica con inibitore delle proteasi di II generazione. L’esperienza era stata preceduta dall’utilizzo nel 2013/2014 dei farmaci inibitori di proteasi di I generazione (Telaprevir, Boceprevir) che erano gravati da pesanti effetti collaterali (come anemia, reazione cutanea), richiedenti l’attento monitoraggio anche del personale infermieristico. L’effettuazione di tale terapia è stata organizzata in modo protocollare nei tre Istituti di pena Milanesi e si è affiancata agli altri trattamenti antiepatite in corso (Interferone peghilato e ribavirina).

II gruppo dei consulente infettivologi per le strutture penitenziarie milanesi coordinato dal Dott. Roberto Ranieri, ha dato inizio a questo programma terapeutico, organizzando un incontro formativo con gli infermieri allo scopo di spiegare le finalità della terapia, la modalità e i tempi di somministrazione e gli eventuali effetti collaterali da monitorare.

Il percorso inizia con la prescrizione del farmaco da parte dell’infettivologo attraverso la compilazione della scheda AIFA personale per il paziente, più la scheda di File F . Tale scheda viene fatta pervenire alla farmacia centrale dell’Ospedale San Paolo che provvede a dispensare i farmaci ogni 4 settimane.

I farmaci vengono inviati alle carceri di Opera, San Vittore e Bollate e successivamente vengono inoltrati ai singoli reparti dove sono ubicati gli utenti e vengono presi in carico dal personale infermieristico. L’infermiere che riceve il farmaco lo pone in un ambulatorio conservandolo in un apposito armadio.

Gli infermieri somministrano i farmaci in ambulatorio a vista e negli orari e nei tempi stabiliti dalla prescrizione del medico di reparto. Alla somministrazione segue un breve periodo di osservazione allo scopo di valutare la comparsa di eventuali effetti collaterali immediati. Questo momento di contatto quotidiano con il paziente diventa anche utile ai fini di rilevare eventuali sintomi lamentati dal paziente e di sottolineare l’importanza dell’assunzione quotidiana della terapia. Dopo ciò, l’infermiere scarica il farmaco in un’apposita scheda, riportando giacenza ed il proprio identificativo personale (numero di matricola). La scheda utilizzata è stata creata al momento in modo informale. L’infermiere è informato del fatto che ogni confezione del farmaco è personale e non può essere utilizzata da altro paziente. Data l’importanza della continuità della terapia, tutte le figure coinvolte nella prescrizione e somministrazione del farmaco devono rispettare i tempi di prescrizione, ( quattro settimane) ed avvertire tempestivamente il magazzino farmacia interno della giacenza in possesso, relativamente ad ogni singolo farmaco.

Ai fini statistici, nella casa circondariale di San Vittore, abbiamo rilevato che a partire da febbraio 2015 sono stati trattati con inibitori della proteasi nove pazienti tutti affetti da cirrosi (F4), di cui uno affetto anche da HIV. Di questi pazienti, cinque hanno terminato il trattamento e di tre di essi si conosce l’esito finale del trattamento che ha portato all’eradicazione del virus, quattro sono tuttora in trattamento e hanno tutti viremia già negativizzata. Non si sono verificati particolari effetti collaterali. Solo da parte di un paziente si sono verificate mancate assunzioni di terapia per motivazioni giudiziarie. La terapia è stata somministrata in ogni reparto detentivo, poiché contrariamente a quanto avveniva con gli inibitori di I generazione, essa non richiede un’allocazione del paziente al Centro Clinico, presentando effetti collaterali di minore importanza.

Nel corso del 2015, all’interno della Casa di Reclusione Opera sono stati trattati 12 detenuti affetti da epatite cronica HCV, dislocati in 4 dei 5 reparti detentivi. Di essi 9 hanno terminato il trattamento, in 4 di essi è avvenuta l’eradicazione del virus, 2 hanno avuto un relapse del virus e verranno ritrattati ,gli altri sono in attesa dell’esito virologico.

Nel Carcere di Bollate, invece, è in corso il trattamento di 4 pazienti e 32 pazienti sono in valutazione.

L’esperienza compiuta in quest’anno e preceduta da quella dell’anno 2014 ha evidenziato che l’organizzazione proposta è stata funzionale ai fini dell’esecuzione della terapia e della collaborazione tra le varie figure interessate nel processo. Riteniamo che sia utile formalizzare alcuni documenti (scheda di avvenuta somministrazione), sia ai fini legali che statistici.

Nel trattamento di questi casi, si è reso necessario un più attento monitoraggio nella gestione delle terapie somministrate per evitare che i farmaci fossero assunti in modo scorretto o, addirittura, che non venissero assunti. Come è noto, gli errori in terapia hanno importanti ripercussioni non solo sulla salute dei pazienti, ma anche sui costi del sistema sanitario perché provocano ritardi nella guarigione (con un aumento della spesa d’acquisto dei farmaci).

In un’ottica di sicurezza, questione centrale e prioritaria all’interno dell’Istituto, i pazienti sono stati informati approfonditamente sull’importanza della pianificazione terapeutica e sul farmaco somministrato, comunicandone anche gli effetti collaterali, e sono stati incoraggiati a fare domande relative alla terapia somministrata.

La corretta informazione al paziente, infatti, aumenta la sua compliance e lo rende, in qualche modo, corresponsabile. Inoltre, è stata adottata una procedura condivisa per la somministrazione del farmaco a vista.

Tutto questo ha condotto a un netto miglioramento della qualità della vita del detenuto e a un incremento dell’efficienza nella gestione del farmaco da parte del personale infermieristico. Personale che, all’interno di una struttura penitenziaria, risulta fondamentale dal punto di vista sanitario e, sotto alcuni aspetti, cruciale per un’appropriata assistenza alla popolazione detenuta.

Migliorare la sicurezza nella terapia farmacologica, in un ambiente ostico come il carcere che impone numerosi vincoli di sicurezza, può contribuire a mantenere un buon livello di salute della popolazione carceraria, e non può che migliorare l’approccio con l’assistito, abbassando il livello di criticità operative dovute al contesto particolare in cui operiamo.

Questo modello organizzativo si è rilevato vantaggioso su più fronti. Grazie a un maggiore controllo nell’assunzione della terapia da parte del detenuto, consente una più efficace razionalizzazione del farmaco, eliminando eventuali sprechi derivati dalla mancata assunzione. Ne conseguono il contenimento della spesa sanitaria, la riduzione del costo sociale e l’aumento dell’efficienza del sistema sanitario erogato.

Questa procedura, infine, permette di creare nuove opportunità per il miglioramento del servizio sanitario all’interno degli Istituti penitenziari, consente un intervento sanitario più efficace e fa sì che la privazione della libertà personale non costituisca un ostacolo insormontabile all’accesso alle cure. A dimostrazione del fatto che la pena detentiva, pur essendo un aspetto drammatico e controverso, si adegua alla crescita di civiltà da parte di una società avanzata.

A cura di: Girolamo Lombardo, Fabrizio Salvini,  Anna Valentino, Luca Amedeo Meani.
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Author: Luca Meani

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