di Angelo Cospito
Segretario Nazionale S.I.M.S.P.e
Responsabile sanitario U.O.S.P. della Lombardia.
Caro Antonio, caro amico,caro collega, scusami se ti scrivo solo ora, che non sei più tra noi. Quanti anni trascorsi insieme, quante tipologie di “carcere” sono stati nel tempo affidati – per quanto riguarda l’aspetto sanitario – nelle nostre mani. E quante cose, dal “basso” dei miei circa 23 anni di professione penitenziaria e dei tuoi circa 20 ne abbiamo viste e contribuito a migliorare.
Il medico penitenziario negli ultimi anni è cresciuto molto, sia in professionalità che nella consapevolezza dell’importanza del suo ruolo.
Da diversi anni nella maggior parte dei medici che giungono in carcere (e riescono a resistervi per più anni!)
la consapevolezza della propria mission è chiara e netta.
Tu questo lo sapevi. Non eri solo medico penitenziario, ma anche un’apprezzato ortopedico e soprattutto un grande Uomo.
Eppure mai hai rinunciato al tuo impegno con i detenuti; questo lavoro – quello che i più superficiali o i meno degni guardano con disprezzo o sufficienza – hai voluto conservarlo fino all’ultimo.
Ed i detenuti ti hanno voluto bene, perchè sapevi accoglierli, ascoltarli e dare loro attenzione e suggerimenti, oltre ad appropriate cure.
Tu sei stato sempre un’interlocutore vero,per molti di noi, medici della “ Casa Circondariale di San Vittore
-struttura tra le più grandi d’Italia,– eri e resti un caro fratello, ti ricorderemo come un grande esempio di umiltà e professionalità. Ci provi qualcuno a sminuire il tuo valore di medico e di operatore all’interno della struttura della Casa Circondariale di Milano S.Vittore, i
primi che si ribelleranno a questa volontà denigratoria saranno gli stessi detenuti che ben sanno che:
i medici penitenziari veri,quelli che hanno acquisito negli anni specifica e peculiare competenza professionale,sono sempre figure per loro di riferimento e di garanzia.
Non siamo (con tutto il rispetto di quelle realtà) ne’ le carceri bulgare, ne’ irachene o del Brasile. Abbiamo molto da migliorare e questo con le poche risorse disponibili e con le soluzioni ai problemi, che i nostri politici riescono a trovare, ma, in quanto ad etica, non abbiamo nulla da imparare da chicchessia.
Tu questo lo sapevi, lo sentivi ed alla metamorfosi del medico penitenziario hai direttamente contribuito con l’agire quotidiano, umile, attento, competente e fattivo. Non blateravi, non giudicavi sommariamente, per “immaginazione” o per “sentito dire”. Non giudicavi a-priori malevolmente i colleghi (…sapevi che non è deontologicamente corretto!) ed hai saputo aiutare ed essere aiutato.
Salutiamo la tua morte con la tristezza di chi già ti rimpiange, ma, anche con l’orgoglio di averti conosciuto e stimato, e, sentiamo di potere dire a chi ti vuole bene, in particolare ai tuoi figli, che dovranno andare fieri e sempre a testa alta, pensando al loro padre, tra le tante eredità che gli lasci ci sono:
1)la capacità di soffrire con dignità,
2)quella di accogliere con comprensione ed amore chi è sofferente
3)e soprattutto la grandissima, umile fattività.
A chi dileggiava il nostro lavoro, rispondevi con serena sufficienza:
un medico, oltre che alla legge, risponde alla propria coscienza ed alle persone ammalate che gli si affidano.
Ti porteremo nella nostra società scientifica S.I.M.S.Pe quale nobile esempio per tutti e sconfesseremo con i fatti, sul campo, quelli che con superficialità o in malafede cercano di diffamarci, consapevoli in ciò che abbiamo, un obbligo di coerenza, verso i nostri assistiti – i signori
detenuti, persone con pari dignità rispetto alle persone libere e per niente pazienti di “serie B” – ai quali dobbiamo mostrare, nelle nostre vicissitudini, quella stessa pazienza che consigliamo spesso loro.
Eri e resti, come tutti i medici penitenziari consapevoli ed orgogliosi del proprio ruolo, un medico di serie A e la specializzazione la porta incisa (con il duro lavoro con cui l’hai conquistata) sul cuore.